venerdì 10 giugno 2011

Era e non è.

Cammino sotto al sole, poi una sosta: il vento mi scompiglia i capelli, la musica nelle orecchie mi addolcisce l'anima, sigarette e agenda in borsa non mancano. Eccola la mia vita, in poche parole, camminare lentamente con ciò che per me è vitale per poi fermarmi, spesso, troppo spesso. Fermarmi, nascondermi, abbassare lo sguardo di fronte al mondo, vuota l'anima, vuoto lo stomaco. Lacrime ormai bloccate da mesi, rabbia quasi inesistente. Sono forse morta? Mi fermo e poi? Dopo aver infilato la testa sotto le coperte, dopo aver infierito su di me cosa faccio? E poi perchè? Il passato?
Ecco cosa faccio. Mi fermo, mi volto indietro. Vedo lei.
Estate. E' mattino ormai, le 10, anzi le 11 credo. Apro gli occhi, ed eccola la mia linfa vitale, ecco la sua voce, il suo sorriso. E' felice, mi parla, mi abbraccia. Felice perché ho dormito, felice perché ci sono, semplicemente felice. Fa caldo, l'aria che odora di erba, aria verde, aria di paese mi avvolge ed io la amo. Amo l'aria, amo lei.
Gioco un po' si, sto bene.
Autunno, credo. Non riesco a dormire se non mi tiene la mano nella sua. Non riesco a dormire se non le accarezzo le unghia, così come non riuscivo a dormire un tempo se non mi respirava sul viso, se non sincronizzavamo i respiri. Non riesco a dormire senza di lei, non farmi cadere le braccia nel vuoto, ci sono i serpenti. Ah, dannati serpenti che sempre mi accompagneranno.
Inverno, credo. Svegliarsi al mattino è un piacere, la sento mentre apre lo stipite, mentre prepara il caffè per sè e lui. Il profumo del caffè mi entra nelle narici, mi sveglia, sento il rumore del cucchiaino.. che piacere svegliarsi così. Ah, sempre amato caffè.
Primavera. Non esiste una primavera di noi? Non siamo mai sbocciate forse? Non c'è stato un inizio, o non lo ricordo? Tutto ciò che so è che l'inizo non era con te.
E poi arriva il mentre. Come non ne ho idea.
Mi ritrovo undicenne forse, con alle spalle l'infanzia in cui ci siamo tanto amate. Mi ritrovo a rientrare in casa, di sera da scuola, e chiudermi subito in stanza. Perché? Ti evitavo, eri strana, sguardo strano, gesti strani. Ti trovavo sempre nel letto, persiane chiuse, buio, dormivi, chissà. Ed io stavo meglio sola. Forse non dovevo lasciare te sola, però. Mi ritrovo a non riuscire a dormire a causa delle urla che provenivano dalla cucina, mi ritrovo in lacrime a venir da voi, mettermi in mezzo, separarvi, inerme, già piena di dolore e paura. Mi ritrovo a tornare a letto, facendomi il segno della croce, in attesa. Passa. Passerà. Anche questa sera. Anche questa notte.
Mi ritrovo ad esser svegliata al mattino da strani rumori, tu che rompi qualcosa, il pavimento (impossibile ma vero), fai rumore sul balcone, le scale, ti sento urlare, parlare, urlare, parlare. Un continuo.
Mi ritrovo, non so quando, ormai ho perso il conto, a chiudermi ancora in stanza, alzare il volume della musica al massimo, ho le mani nei capelli, le lacrime inzuppano tutto, urlo nel cuscino, nessuno mi sente, fin quando le urla non si riducono ad un muto strazio dell'anima. Mi fermo, penso, non so bene a cosa. Non so bene cosa mi frulli in testa, mi alzo, mi affaccio alla finestra. C'è la strada di sotto. Chissà se farebbe male, chissa se mi salverei. Chissà. Voglio morire.
Mi ritrovo un giorno ad uscire dalla stanza e ti vedo camminare nel corridoio, con le mani tra i capelli, li strappavi ricordo bene, avevi il viso rosso. Silenzio. Mi ritiro.
Mi ritrovo a sentirti parlare, non c'è nessuno però. Te la prendi con qualcuno, sbraiti, urli. Conversi. Con chi? Oh sì, a volte con Dio, a volte con qualcun'altro. Fa paura. Senti i i passi, sì c'è qualcuno. Fa paura.
Ti osservo. Ti da fastidio qualsiasi cosa, il titolo di un giornale, il tg, un'etichetta. Qualcuno poi è entrato in casa, ha spostato il vaso. Comincia già a non fare paura.
Alterni momenti di rabbia, di occhi iniettati di sangue, rossore ovunque, bava alla bocca, mani su di me, qualche pugno ( sì proprio come quando avevo quanto 9 anni? e mi nascondevo sotto le coperte per non farmi colpire dalla cinta che sapevi usare così bene ),  a momenti di depressione totale. Fa sempre meno paura.
Ecco arrivare gli attacchi di panico, ansia a non finire. Non respiro, mi tremano le gambe, non sento più le ginocchia.
Ricominci a fumare, un pacchetto, due al giorno. Se è di più non ricordo, faccio finta di non vedere.
Il mio lui se ne va, ( il tuo non si muoverà mai) non mangio più ormai, ho dimenticato anche come si fa a dormire. So solo piangere. Non che lui mi abbia mai aiutata con te, non so cosa mi legava-lega a lui.  Stabilità? Sicurezza? Quante volte ho guardato la strada sotto quella finestra? Non avevo mai considerato le pillole, che stupida. Non respiro, altro attacco di panico, le pillole. La faccio finita. Un secondo, due, tre. Cosa dici? Un minuto. Respira. Due minuti. Mai andata così vicina. Lascia stare. Tre minuti. Mai andata così vicina.
Stanza. Musica a volume basso questa volta. Sento la tua voce, flebile. Mi chiami ripetutamente. Apro la porta, non ti vedo. Volgo lo sguardo a terra. Eccoti, distesa. Volto rivolto verso il pavimento, braccia stese. Eccola, la tua prima volta, è arrivata, me lo dovevo aspettare. Cos'hai fatto? Pillole. Certo, la tua forza dov'è andata? Pronto soccorso.Odi tutto così tanto? No, la tua realtà ormai è un'altra. Questa vita è solo un sogno, lo so. Cioè un incubo. Il tuo. Perché ti ho salvata? Forse volevi solo morire. Forse ti avrei liberata. Cosa voglio saperne io? Noi e i nostri deliri di onnipotenza. Prima di tante altre volte. Prima di tante volte al pronto soccorso.
Tempo. Cosa accadde?
L'alcol. Arriva l'alcol. Cosa c'è da dire? Vino, birra, grappa, ogni cosa che c'era in casa, e quando non c'è stata più cosa ci voleva a comprarla? Mille bottiglie svuotate nel tuo stomaco e nel lavello, mille lotte per levartele di mano, pugni presi. Notti insonni in cui non mi alzavo più dal letto per separarvi. Alcol, sigarette, deliri, depressione, manie di persecuzione. Suicidi provati, ricoveri, lacrime, silenzi.
I miei attacchi di panico, le mie ginocchia fragili, il mio primo tonfo sul pavimento, la paura. Il respiro assente. Le ferite sulle braccia, mi sento viva almeno, dentro sono vuota. Di sentimenti, di cibo.
Tu, tu, cordone ombelicale reciso. Tu, noi. Psicologi, psichiatri,  cosa fanno contro il male di vivere?
Tutto ruota intorno a questo. Tutto ruoterà sempre intorno a questo. La tua, come la mia vita.
Forse sarò più forte, forse avrò al mio fianco qualcuno ancora più forte. Forse io non ci cadrò. Forse.
Ciò che so è che tu però non ne uscirai più. Purtroppo. La tua vita è segnata, la nostra famiglia distrutta, ma più di tutto tu sei distrutta, distrutta da te stessa. Dalla vita. Tu che alla mia età avevi un sorriso che faceva invidia, tu che conquistavi chiunque, portavi gioia ovunque. Tu che ti ritrovavi il tassista che ti aveva accompaganata a casa fuori dalla porta con un mazzo di rose. Tu che eri scappata in città proprio come me. Tu che per amore sei tornata in un paese che ti stava stretto, tra gente che ti stava stretta. Io che sto seguendo la tua stessa strada. Spero di non fare lo stesso tuo errore. Spero di salvarmi dal male di vivere.
Non avevo mai scritto tutto questo. Chissà come mi sentirò domani. Forse nulla cambierà. Certamente. Sarò ancora in attesa della vita invece di prenderla in mano e di assaggiarla come un tempo.
Tu, tu, pensiero martellante nelle orecchie, nella mente, nel cuore, nell'anima stracciata, nei graffi delle braccia.
Ciò che ormai non sai è che ti voglio bene. Che sono andata via per salvarmi. Come canta Cesare: " E se mi manchi è perché ho dato più importanza ai miei lamenti."
Ciò che non sai è che ti, vi penso. Ciò che un giorno forse dimenticheremo sono tutte le offese, le botte, quest'incubo di realtà. Chissà forse un giono vivremo nello stesso mondo, questa vita è soltanto apparenza. Tu hai in mano la verità, mamma. Chissà.
Tua figlia. Unica.

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